mercoledì 30 novembre 2016
martedì 29 novembre 2016
la storia vera

Molti degli episodi presuppongono come modello l'Odissea ma sempre prevale la chiave ironica e parodica. Questo stesso atteggiamento è presente nel libro nei confronti degli storici e filologi ellenistici e dei filosofi che dichiarano (presuntuosamente e fidando ciecamente sull'intelletto umano) di dire sempre il vero, cosa di cui Luciano dubita fortemente.
lunedì 28 novembre 2016
Introduzione alla Storia vera
Ὥσπερ τοῖς ἀθλητικοῖς καὶ περὶ τὴν τῶν σωμάτων ἐπιμέλειαν ἀσχολουμένοις οὐ τῆς εὐεξίας μόνον οὐδὲ τῶν γυμνασίων φροντίς ἐστιν, ἀλλὰ καὶ τῆς κατὰ καιρὸν γινομένης ἀνέσεως ‑ μέρος γοῦν τῆς ἀσκήσεως τὸ μέγιστον αὐτὴν ὑπολαμβάνουσιν ‑ οὕτω δὴ καὶ τοῖς περὶ τοὺς λόγους ἐσπουδακόσιν ἡγοῦμαι προσήκειν μετὰ τὴν πολλὴν τῶν σπουδαιοτέρων ἀνάγνωσιν ἀνιέναι τε τὴν διάνοιαν καὶ [2] πρὸς τὸν ἔπειτα κάματον ἀκμαιοτέραν παρασκευάζειν. γένοιτο δ' ἂν ἐμμελὴς ἡ ἀνάπαυσις αὐτοῖς, εἰ τοῖς τοιούτοις τῶν ἀναγνωσμάτων ὁμιλοῖεν, ἃ μὴ μόνον ἐκ τοῦ ἀστείου τε καὶ χαρίεντος ψιλὴν παρέξει τὴν ψυχαγωγίαν, ἀλλά τινα καὶ θεωρίαν οὐκ ἄμουσον ἐπιδείξεται, οἷόν τι καὶ περὶ τῶνδε τῶν συγγραμμάτων φρονήσειν ὑπολαμβάνω· οὐ γὰρ μόνον τὸ ξένον τῆς ὑποθέσεως οὐδὲ τὸ χαρίεν τῆς προαιρέσεως ἐπαγωγὸν ἔσται αὐτοῖς οὐδ' ὅτι ψεύσματα ποικίλα πιθανῶς τε καὶ ἐναλήθως ἐξενηνόχαμεν, ἀλλ' ὅτι καὶ τῶν ἱστορουμένων ἕκαστον οὐκ ἀκωμῳδήτως ᾔνικται πρός τινας τῶν παλαιῶν ποιητῶν τε καὶ συγγραφέων καὶ φιλοσόφων πολλὰ τεράστια καὶ μυθώδη συγγεγραφότων, οὓς καὶ ὀνομαστὶ ἂν ἔγραφον, εἰ μὴ καὶ αὐτῷ σοι ἐκ τῆς ἀναγνώσεως φανεῖσθαι [3] ἔμελλον ‹ὧν› Κτησίας ὁ Κτησιόχου ὁ Κνίδιος, ὃς συνέγραψεν περὶ τῆς Ἰνδῶν χώρας καὶ τῶν παρ' αὐτοῖς ἃ μήτε αὐτὸς εἶδεν μήτε ἄλλου ἀληθεύοντος ἤκουσεν. ἔγραψε δὲ καὶ Ἰαμβοῦλος περὶ τῶν ἐν τῇ μεγάλῃ θαλάττῃ πολλὰ παράδοξα, γνώριμον μὲν ἅπασι τὸ ψεῦδος πλασάμενος, οὐκ ἀτερπῆ δὲ ὅμως συνθεὶς τὴν ὑπόθεσιν. πολλοὶ δὲ καὶ ἄλλοι τὰ αὐτὰ τούτοις προελόμενοι συνέγραψαν ὡς δή τινας ἑαυτῶν πλάνας τε καὶ ἀποδημίας, θηρίων τε μεγέθη ἱστοροῦντες καὶ ἀνθρώπων ὠμότητας καὶ βίων καινότητας· ἀρχηγὸς δὲ αὐτοῖς καὶ διδάσκαλος τῆς τοιαύτης βωμολοχίας ὁ τοῦ Ὁμήρου Ὀδυσσεύς, τοῖς περὶ τὸν Ἀλκίνουν διηγούμενος ἀνέμων τε δουλείαν καὶ μονοφθάλμους καὶ ὠμοφάγους καὶ ἀγρίους τινὰς ἀνθρώπους, ἔτι δὲ πολυκέφαλα ζῷα καὶ τὰς ὑπὸ φαρμάκων τῶν ἑταίρων μεταβολάς, οἷς πολλὰ ἐκεῖνος πρὸς ἰδιώτας ἀνθρώπους [4] τοὺς Φαίακας ἐτερατεύσατο. τούτοις οὖν ἐντυχὼν ἅπασιν, τοῦ ψεύσασθαι μὲν οὐ σφόδρα τοὺς ἄνδρας ἐμεμψάμην, ὁρῶν ἤδη σύνηθες ὂν τοῦτο καὶ τοῖς φιλοσοφεῖν ὑπισχνουμένοις· ἐκεῖνο δὲ αὐτῶν ἐθαύμασα, εἰ ἐνόμιζον λήσειν οὐκ ἀληθῆ συγγράφοντες. διόπερ καὶ αὐτὸς ὑπὸ κενοδοξίας ἀπολιπεῖν τι σπουδάσας τοῖς μεθ' ἡμᾶς, ἵνα μὴ μόνος ἄμοιρος ὦ τῆς ἐν τῷ μυθολογεῖν ἐλευθερίας, ἐπεὶ μηδὲν ἀληθὲς ἱστορεῖν εἶχον ‑ οὐδὲν γὰρ ἐπεπόνθειν ἀξιόλογον ‑ ἐπὶ τὸ ψεῦδος ἐτραπόμην πολὺ τῶν ἄλλων εὐγνωμονέστερον· κἂν ἓν γὰρ δὴ τοῦτο ἀληθεύσω λέγων ὅτι ψεύδομαι. οὕτω δ' ἄν μοι δοκῶ καὶ τὴν παρὰ τῶν ἄλλων κατηγορίαν ἐκφυγεῖν αὐτὸς ὁμολογῶν μηδὲν ἀληθὲς λέγειν. γράφω τοίνυν περὶ ὧν μήτε εἶδον μήτε ἔπαθον μήτε παρ' ἄλλων ἐπυθόμην, ἔτι δὲ μήτε ὅλως ὄντων μήτε τὴν ἀρχὴν γενέσθαι δυναμένων. διὸ δεῖ τοὺς ἐντυγχάνοντας μηδαμῶς πιστεύειν αὐτοῖς.
introduzione
Come gli atleti e quanti praticano esercizio fisico si preoccupano non soltanto di mantenersi in forma e di allenarsi, ma anche di concedersi al momento opportuno un po' di riposo (lo ritengono infatti un momento essenziale della loro attività), ugualmente - io credo - anche chi svolge un'attività intellettuale, dopo una lettura prolungata di libri seri, deve rilassare la mente in modo da renderla più pronta in vista delle fatiche che verranno.
Questa pausa, poi, sarebbe sfruttata al meglio se si dedicassero a un genere di letture in grado non soltanto di offrire il fascino derivante dall'ironia e dal tono brillante, ma anche di coniugare l'utile con il dilettevole; e questo, spero, si penserà della mia presente composizione. Spero, cioè, che costituirà motivo di attrazione per un simile pubblico non soltanto la stranezza dell'argomento o l'armonia dell'impianto narrativo, tantomeno il mio modo di presentare bugie stravaganti in una forma credibile e verosimile, ma il fatto che ognuna delle cose che descrivo è una «frecciata» destinata a coprire di ridicolo certi poeti e storiografi e filosofi del passato che hanno messo insieme e scritto una quantità di favole mirabolanti; tutta gente che nominerei, anche, se a chiunque le allusioni non risultassero chiare alla semplice lettura. Ad esempio Ctesia, figlio di Ctesioco, di Cnido, ha scritto sull'India e sugli usi e costumi degli Indiani cose che non aveva visto con i suoi occhi né aveva sentito dire da altri testimoni attendibili. Anche Iambulo ha scritto mille storie assurde sull'Oceano: certo ha costruito solo un castello di bugie da chiunque riconoscibili come tali, ma ne è uscita, nonostante questo, un'opera piuttosto gradevole.
Molti altri ancora hanno scelto la stessa strada già battuta da questi che ho citato: hanno stilato il resoconto di certi loro viaggi e peregrinazioni immaginarie, descritto belve gigantesche, uomini ferocissimi e usi e costumi di vita assolutamente mai visti prima. Il capostipite di questa numerosa famiglia e il maestro per eccellenza in una simile arte della ciarlataneria è l'Ulisse omerico, che ha raccontato ad Alcinoo e alla sua corte di vènti prigionieri, di uomini con un occhio solo, cannibali e selvaggi, e ancora di animali dalle molte teste e di compagni trasformati per opera di filtri magici (le fanfaronate, insomma, che ha propinato senza risparmio a quei poveri ingenui dei Feaci). Nel leggere, dunque, tutte queste stramberie, non ho potuto biasimare troppo gli autori per le loro bugie, perché so che ormai questo andazzo è generale, anche tra gli uomini di alta cultura: mi sono però stupito che potessero credere di farla franca pur scrivendo falsità su falsità. E così anch'io nel desiderio di lasciare - per vanità naturalmente - qualche messaggio ai posteri, per non restare il solo privo della sua parte di libertà assoluta nell'inventare favole, siccome non avevo nessun avvenimento reale da descrivere - purtroppo non mi è mai successo niente che meriti di essere raccontato - sono ricorso al falso, ma a un falso molto più onesto di quello dei miei predecessori, perché almeno in una cosa sono sincero: dichiaro ad alta voce che mento. Con questo sistema, con l'ammettere io stesso di non dire niente di vero, penso di poter scampare al biasimo altrui; sia chiaro dunque che scrivo di cose né viste con i miei occhi, né che mi sono capitate né che ho saputo da altri, ma, insomma, che proprio non esistono e che non potranno esistere mai; per questo i miei lettori non devono credere nemmeno a una parola.
domenica 27 novembre 2016
Le donne viti

l'isola dei beati

sabato 26 novembre 2016
sbarco sulla luna

venerdì 25 novembre 2016
un terribile mostro

pinocchio e la balena
giona e la balena
gli ippogipi

giovedì 24 novembre 2016
i seleniti
Καλὸς δὲ νομίζεται παρ' αὐτοῖς ἤν πού τις φαλακρὸς καὶ ἄκομος ᾖ, τοὺς δὲ κομήτας καὶ μυσάττονται. ἐπὶ δὲ τῶν κομητῶν ἀστέρων τοὐναντίον τοὺς κομήτας καλοὺς νομίζουσιν· ἐπεδήμουν γάρ τινες, οἳ καὶ περὶ ἐκείνων διηγοῦντο. καὶ μὴν καὶ γένεια φύουσιν μικρὸν ὑπὲρ τὰ γόνατα. καὶ ὄνυχας ἐν τοῖς ποσὶν οὐκ ἔχουσιν, ἀλλὰ πάντες εἰσὶν μονοδάκτυλοι. ὑπὲρ δὲ τὰς πυγὰς ἑκάστῳ αὐτῶν κράμβη ἐκπέφυκε μακρὰ ὥσπερ οὐρά, θάλλουσα ἐς ἀεὶ καὶ ὑπτίου ἀναπίπτοντος οὐ κατακλωμένη. ἀπομύττονται δὲ μέλι δριμύτατον· κἀπειδὰν ἢ πονῶσιν ἢ γυμνάζωνται, γάλακτι πᾶν τὸ σῶμα ἱδροῦσιν, ὥστε καὶ τυροὺς ἀπ' αὐτοῦ πήγνυνται, ὀλίγον τοῦ μέλιτος ἐπιστάξαντες· ἔλαιον δὲ ποιοῦνται ἀπὸ τῶν κρομμύων πάνυ λιπαρόν τε καὶ εὐῶδες ὥσπερ μύρον. ἀμπέλους δὲ πολλὰς ἔχουσιν ὑδροφόρους.τῇ μέντοι γαστρὶ ὅσα πήρᾳ χρῶνται τιθέντες ἐν αὐτῇ ὅσων δέονται· ἀνοικτὴ γὰρ αὐτοῖς αὕτη καὶ πάλιν κλειστή ἐστιν· ἐντέρων δὲ οὐδὲν ὑπάρχειν αὐτῇ φαίνεται, ἢ τοῦτο μόνον, ὅτι δασεῖα πᾶσα ἔντοσθε καὶ λάσιός ἐστιν, ὥστε καὶ τὰ νεογνά, ἐπειδὰν ῥιγώσῃ, ἐς ταύτην ὑποδύεται.
stranezze dei seleniti

venerdì 18 novembre 2016
incontro con omero

l'immortale - borges
gli inferi di luciano
Tra tutte queste dolcezze approdiamo in un porto, e fermata la nave, discendiamo, lasciando Scintaro e due altri compagni. Avanzandoci per un prato fiorito, incontrammo le guardie, le quali ci legarono con ghirlande di rose, che è il legame più duro per loro, e ci menarono alla signoria: ed esse per via ci dissero che quella era l'isola dei Beati, e n'era signore il cretese Radamanto.
Condotti innanzi a costui, fummo giudicati dopo tre altre cause. La prima causa fu d'Aiace Telamonio, se egli debba star con gli eroi o no: lo accusavano che era andato in furore e s'era ucciso; infine essendosi molto parlato e per il sì e per il no, sentenziò Radamanto: Per ora beva l'elleboro, e sia dato in mano al medico Ippocrate di Coo; dipoi quando avrà rimesso senno, avrà parte nel banchetto. La seconda fu una quistione amorosa fra Teseo e Menelao, che contendevano chi dei due dovesse tenersi Elena. E Radamanto decise che se la tenesse Menelao, il quale aveva sostenuto tante fatiche e tanti pericoli per lei; che Teseo aveva altre donne, l'Amazzone e le figliuole di Minosse. La terza causa fu chi dovesse avere il luogo più onorato se Alessandro di Filippo o Annibale cartaginese: fu deciso per Alessandro, e gli fu portato un seggio accanto al vecchio Ciro persiano.In quarto luogo fummo presentati noi, ed egli ci domandò per quale cagione essendo ancor vivi eravamo entrati in quel sacro paese. Noi gli narrammo ogni cosa. Egli ci fa allontanare, e lungamente discute la nostra causa con i suoi assessori; e fra gli altri e molti suoi assessori era Aristide il giusto, l'ateniese. Sentenziò e dichiarò: che della nostra curiosità e del nostro viaggio saremmo puniti dopo morte, per ora rimanessimo un certo tempo nell'isola in compagnia dei Beati, e poi andassimo via. Stabilì il termine della dimora non più lungo di sette mesi. Allora ci caddero da sé le ghirlande, e così sciolti fummo condotti nella città al banchetto dei Beati.La città è tutta oro, il muro che la cinge di smeraldi; ha sette porte, ciascuna un pezzo di legno di cannella; il pavimento della città e la terra dentro le mura è d'avorio: vi sono templi a tutti gli Dei e fabbricati di berillo; in essi are grandissime, d'una sola pietra, d'ametista, sulle quali fanno le ecatombe. Presso la città scorre un fiume di bellissimo unguento, largo cento cubiti reali, e profondo che vi si può anche nuotare. I loro bagni sono edifizi grandi, tutti di vetro; vi bruciano cannella e invece di acqua nelle stufe è rugiada calda. Per le vesti usano ragnatele sottilissime porporine. Non hanno corpi, sono impalpabili, e senza carne, non altro che figure e idee, e quantunque incorporei pure stanno, si muovono, pensano, parlano: insomma pare che l'anima nuda vada intorno vestita d'una certa immagine di corpo: e se uno non li toccasse, non si convincerebbe che ciò che vede non è corpo: sono ombre, ma ritte in piedi, e non sono nere. Nessuno v'invecchia, ma in quell'età che ci viene rimane. Quindi non è né notte né giorno chiaro, ma un barlume simile all'albore mattutino prima che spunti il sole. Non conoscono stagioni, è sempre primavera, e vi spira un solo vento, il zeffiro. Il paese produce tutti i fiori, tutti gli alberi domestici e ombrosi; la vite getta dodici volte l'anno, fa il frutto ogni mese; il melograno, il melo e gli altri alberi fruttiferi portano tredici volte, come mi dissero; ché in un mese, chiamato di Minosse, fanno due volte il frutto. Invece di frumento le spighe in cima producono cialdoni belli e fatti, come fossero funghi. Fontane intorno alla città ce ne sono trecentosessantacinque di acqua, di miele altrettante, di unguento cinquecento ma più piccole; sette fiumi di latte, e otto di vino.
Il banchetto si fa fuori della città nel campo detto Elisio: c'è un prato bellissimo, e intorno a esso un bosco svariato, frondoso, di piacevole ombra a chi vi sta sdraiato, e sotto un tappeto di fiori. Valletti e scalchi sono i venti; non c'è bisogno di coppieri, perché intorno al banchetto sono grandi alberi di lucentissimo vetro, i quali per frutti producono tazze d'ogni fatta, e grandezza. Quando uno viene al banchetto coglie una o due di quelle tazze, e se le mette innanzi e quelle subito da sé medesime si riempiono di vino: così bevono. Invece di ghirlande gli usignoli e gli altri uccelli melodiosi dal vicino prato raccolgono i fiori nel becco, e ne spargono un nembo sovr'essi cantando e volando.Gli unguenti sono sparsi così: certe nuvolette dense tirano unguento dalle fonti e dal fiume, e librate sul banchetto, mosse leggermente dai venti, piovono una spruzzaglia fina come rugiada. Nel desinare usano musiche e canti: sono cantati specialmente i versi d'Omero, il quale è lì presente, e banchetta coi Beati, ed è adagiato vicino a Ulisse. Vi sono cori di fanciulli e di vergini: li guidano e li concertano Eunomo di Locri, Arione di Lesbo, e Anacreonte, e Stesicoro ancora che vedemmo lì già rappattumato con Elena. Quando cessano questi cori di cantare, ne vengono altri di cigni, di rondini, di usignoli, e quando hanno cantato anche questi, allora tutto il bosco risponde con un suono che pare di flauti, e i venti battono il tempo. Ma la maggior consolazione è questa: ci sono due fonti vicino al banchetto, una del riso, un'altra del piacere: tutti quanti prima di banchettare tolgono una buona sorsata o dell'una o dell'altra, così banchettano scherzando e ridendo.
giovedì 17 novembre 2016
la lettera di odisseo a calipso
Τριταῖοι δ' ἐκεῖθεν τῇ Ὠγυγίᾳ νήσῳ προσσχόντες ἀπεβαίνομεν. πρότερον δ'
ἐγὼ λύσας τὴν ἐπιστολὴν ἀνεγίνωσκον τὰ γεγραμμένα. ἦν δὲ τοιάδε·
Ὀδυσσεὺς Καλυψοῖ χαίρειν. Ἴσθι με, ὡς τὰ πρῶτα ἐξέπλευσα παρὰ σοῦ τὴν
σχεδίαν κατασκευασάμενος, ναυαγίᾳ χρησάμενον μόλις ὑπὸ Λευκοθέας
διασωθῆναι εἰς τὴν τῶν Φαιάκων χώραν, ὑφ' ὧν ἐς τὴν οἰκείαν ἀποπεμφθεὶς
κατέλαβον πολλοὺς τῆς γυναικὸς μνηστῆρας ἐν τοῖς ἡμετέροις τρυφῶντας·
ἀποκτείνας δὲ ἅπαντας ὑπὸ Τηλεγόνου ὕστερον τοῦ ἐκ Κίρκης μοι γενομένου
ἀνῃρέθην, καὶ νῦν εἰμι ἐν τῇ Μακάρων νήσῳ πάνυ μετανοῶν ἐπὶ τῷ
καταλιπεῖν τὴν παρὰ σοὶ δίαιταν καὶ τὴν ὑπὸ σοῦ προτεινομένην ἀθανασίαν.
ἢν οὖν καιροῦ λάβωμαι, ἀποδρὰς ἀφίξομαι πρὸς σέ. ταῦτα μὲν ἐδήλου ἡ
ἐπιστολή, καὶ περὶ ἡμῶν, [36] ὅπως ξενισθῶμεν. ἐγὼ δὲ προελθὼν ὀλίγον
ἀπὸ τῆς θαλάττης εὗρον τὸ σπήλαιον τοιοῦτον οἷον Ὅμηρος εἶπεν, καὶ αὐτὴν
ταλασιουργοῦσαν. ὡς δὲ τὴν ἐπιστολὴν ἔλαβεν καὶ ἐπελέξατο, πρῶτα μὲν
ἐπὶ πολὺ ἐδάκρυεν, ἔπειτα δὲ παρεκάλει ἡμᾶς ἐπὶ ξένια καὶ εἱστία λαμπρῶς
καὶ περὶ τοῦ Ὀδυσσέως ἐπυνθάνετο καὶ περὶ τῆς Πηνελόπης, ὁποία τε εἴη
τὴν ὄψιν καὶ εἰ σωφρονοίη, καθάπερ Ὀδυσσεὺς πάλαι περὶ αὐτῆς ἐκόμπαζεν·
καὶ ἡμεῖς τοιαῦτα ἀπεκρινάμεθα, ἐξ ὧν εἰκάζομεν εὐφρανεῖσθαι αὐτήν.
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